Evo Morales presidente per la quarta volta consecutiva e la Bolivia non trova pace. Dopo essere stato eletto lo scorso 20 ottobre contro lo sfidante di destra, l’ex presidente del partito MNR Carlos Mesa, vincendo con dieci punti di vantaggio, il Primer mandatario boliviano e il suo vice Garcia Linera si dibattono fra accuse di brogli e la mancata sfida al ballottaggio. Uno scontro che si riflette nelle strade delle città boliviane, dove esplodono continui scontri fra sostenitori ed oppositori del Governo che in 10 giorni hanno lasciato 2 morti e provocato 140 feriti.
E mentre Morales e Mesa si continuano a sfidare a colpi di minacce, denunce ed insulti, si fa strada una terza corrente: quella che non ci sta ad essere costretta a scegliere fra due uomini per lo meno questionabili per il proprio rapporto con il potere e la democrazia, e che parla di patriarcato e visione femminista della società boliviana.
Ancora una volta dunque la Bolivia si spacca a metà mostrando le storiche fratture sociali che contrappongono indigeni e contadini alla borghesia bianca e latifondista dell’Oriente boliviano.
Una polarizzazione sociale antica, che fonda le sue radici nella colonizzazione e che si è enfatizzata con la cacciata del presidente Gonzalo Sanchez de Lozada – reo di aver massacrato la popolazione cochabambina prima, e degli altipiani poi, reprimendo con la forza le proteste popolari che chiedevano l’accesso all’acqua e la difesa del gas (Le Guerre dell’Acqua e del gas, rispettivamente nel 2000 e nel 2003) – e la conseguente elezione del primo presidente indigeno della storia bolivana, il cocalero Evo Morales.
“Cambas contra collas“, bianchi contro indigeni, si urlava nelle strade anche allora – nel 2006 – quando Evo Morales sembrava incarnare le speranze di rinascita di una popolazione al 70% indigena come quella boliviana, che aveva subito 180 dittature in poco meno di due secoli di storia. E si è gridato ancora nel “enero negro” del 2008, quando gruppi armati provenienti dall’Oriente boliviano hanno messo a ferro e fuoco Cochabamba, che ospitava una lunga vigilia indigena (manifestazine pacifica), ancora una volta a sostegno del proprio Presidente: anche allora lo scontro fu feroce, morti e feriti e la città militarizzata per giorni.
Ma Evo Morales, in questi tredici anni di presidenza si sa, ha disatteso molte delle istanze sociali, ecologiste e culturali che il suo stesso movimento – quello della Coordinadora del Agua y la Vida di Cochabamba – aveva riposto in lui. Non ultimo, l’aspetto di equità di genere, che non è mai stato il suo forte: nonostante l’introduzione di quote che hanno fatto crescere a più del 50% la presenza di deputate donne all’interno del Parlamento, non c’è mai stata un critica femminista all’interno del suo movimento. E i suoi discorsi pubblici sempre conditi da riferimenti omofobi e machisti hanno lasciato spesso interdetti auditori nazionali ed internazionali (ci ricordiamo il discorso sugli ormoni del pollo che fa diventare gay gli occidentali, vero?o la battuta sulla speranza di non avere una collega lesbica, durante un comizio…)
Ecco perchè sono importanti le parole del collettivo femminista boliviano Mujeres Creando, che per bocca di Maria Galindo si posizionano in una terza via, fatta di soluzioni condivise, pacifiche, e femministe: “Sono le donne che devono scendere in campo ora – dice la Galindo – per uscire da questa specie di litigio fra galli che non tiene in considerazione il bene comune. Noialtre non giochiamo al potere ma lottiamo per il Paese. Non vogliamo arrivare a governare, ma è la libertà di tutte e tutti che ci importa. Non vogliamo sedie, ma speranza”
Nelle città di La Paz e Santa Cruz intanto si continuano a tenere comizi partecipati da migliaia di persone per chiedere le dimissioni di Morales e del Vice, Garcia Linera – anch’esso in carica da quattro mandati – e nuove elezioni con altri candidati. Le strade vengono bloccate e sono stati incendiati alcune sedi degli uffici del Tribunale Supremo Elettorale, che ha riconosciuto e convalidato ufficialmente i risultati, mentre l’Onu richiama gli attori politici perchè s’impegnino per sedare il conflitto sociale.
“Ma ascoltando le conferenze di Mesa, di Morales e di Linera pare chiaro che siamo nelle mani di un gruppo chiuso e patriarcale che non capiscono quello che sta succedendo veramente nel Paese. Non possiamo avere un futuro senza una soluzione politica che non ci imponga di scegliere solo fra vincere e perdere”, continua Maria Galindo.
La Bolivia , terra di grandi battaglie desde abajo che ha insegnato al mondo i valori della partecipazione e della resistenza con la Guerra dell’Acqua di Cochabamba e con le tante battaglie pacifiche per i diritti delle popolazioni indigene, potrebbe riuscire a costruire un’equità sociale trovando una soluzione politica e culturale complessa. Che non può passare solo per il confronto muscolare che Morales continua a portare avanti, alimentando il peggio del fascismo razzista del suo Paese.